Pandemia del COVID-19

Lavoratori precari spinti al limite dall’emergenza COVID-19

Se sei un libero professionista, chi paga il congedo per malattia? Se lavori in un negozio al dettaglio con un contratto a chiamata e il negozio chiude, sei sfortunato? Articolo di Janine Berg, Senior Economist OIL.

Editoriale | 25 marzo 2020

La maggior parte delle notizie riportate dai media sugli effetti della pandemia del Covid-19 sul mondo del lavoro  si concentrano sul rischio di licenziamenti e sulle conseguenze economiche per i lavoratori dipendenti. Si discute meno di ciò che accade a coloro che non vengono ufficialmente licenziati, ma i cui contratti non vengono rinnovati, le cui ore sono ridotte a zero o la cui agenzia per il lavoro interinale comunica semplicemente: «Ci dispiace, ma non c’è più lavoro». A seconda del Paese in cui vive, un lavoratore potrebbe non essere protetto dall’indennità di disoccupazione o da altri strumenti di protezioni sociale, come il congedo retribuito per malattia.

Negli ultimi decenni, si è verificato un importante incremento, su scala mondiale, del numero di lavoratori e lavoratrici temporanei, a tempo parziale e interinali, come pure di altre forme di lavoro in subappalto, ma anche di forme di lavoro nel settore dell’intrattenimento e dello spettacolo nel quale i lavoratori sono quasi sempre classificati come lavoratori autonomi.

Poiché molti paesi stabiliscono soglie di ammissibilità per l’accesso agli ammortizzatori sociali — ore minime lavorate, reddito minimo, numero minimo di mesi di lavoro, periodo minimo di contribuzione — molti lavoratori e lavoratrici rimangono senza adeguate protezioni e sono a rischio. Con l’aumento del numero di lavoratori, la copertura dell’indennità di disoccupazione si riduce, anche nei paesi con sistemi consolidati.

© dronepicr 2020
Negli anni ’90,  l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL) ha adottato una serie di norme internazionali del  lavoro per promuovere la parità di trattamento dei lavoratori a tempo parziale, del lavoro interinale tramite agenzia e dei lavoratori a domicilio. L’articolo 6 della Convenzione dell’OIL (n. 175) del 1994 sul lavoro a tempo parziale, ad esempio, stabilisce che «i regimi di sicurezza sociale obbligatori... devono essere adattati in modo che i lavoratori a tempo parziale godano comparativamente di condizioni equivalenti a quelle dei lavoratori a tempo pieno». La Convenzione afferma inoltre che i paesi dovrebbero «rivedere periodicamente» le condizioni di accesso a questi regimi.

Recentemente, la Raccomandazione dell’OIL (n. 202) sui sistemi di protezione sociale, del 2012, richiede che tutti i paesi dovrebbero garantire ai lavoratori e alle lavoratrici almeno un livello di protezione sociale di base e garantire un progressivo adeguamento di protezione a quante più persone e il più presto possibile.

Alla luce della crisi dovuta al COVID-19, questo è il momento opportuno per seguire queste linee guida e ristrutturare o ricostruire i sistemi esistenti. È evidente che tutti i lavoratori e le lavoratrici, indipendentemente dalle modalità di lavoro, debbano poter accedere all’assistenza sanitaria, devono poter rimanere a casa quando non si sentono bene e beneficiare del sostegno al reddito in caso di riduzione dell’orario o di perdita del lavoro a causa della crisi.

In un mondo del lavoro sempre più complesso, sono necessarie  modalità di lavoro flessibili ma questa flessibilità non dovrebbero gravare sulla bisogno fondamentale di protezione dei lavoratori. L’auspicio è che il COVID-19 faccia svegliare il mondo rispetto a questo bisogno.