Nuovo studio ILO

Il work sharing può salvare posti di lavoro in tempi di crisi

La riduzione degli orari di lavoro può avere effetti positivi sui livelli occupazionali durante una grave recessione economica, può preservare le competenze e sostenere le imprese.

Comunicato stampa | 18 giugno 2013

Jon Messenger, ricercatore ILO
GINEVRA (ILO News) — Il work sharing che consiste nella ripartizione del lavoro tramite programmi di riduzione degli orari di lavoro, è stato ampiamente utilizzato per salvaguardare i posti di lavoro sia durante la Grande Recessione del 2008-2009 che successivamente. Secondo un nuovo studio dell’ILO, questo strumento ha anche un grande potenziale in termini di creazione di nuovi posti di lavoro.

Work sharing during the Great Recession, New developments and beyondWork sharing durante la Grande recessione, nuovi sviluppi e prospettive»), studio realizzato da due ricercatori dell’ILO, Jon C. Messenger and Naj Ghosheh, mette in luce un significativo aumento di interesse per il work sharing come strumento efficace di politica del lavoro destinato a salvaguardare gli impieghi esistenti in periodi di recessione economica.

Se le politiche sul work sharing sono elaborate e attuate correttamente..., i lavoratori mantengono il proprio posto di lavoro”.
«Se le politiche sul work sharing sono elaborate e attuate correttamente, il risultato andrebbe a vantaggio di tutti», spiega Messenger. «I lavoratori mantengono il proprio posto di lavoro; le imprese  possono superare la crisi e trovarsi competitive quando inizia la ripresa; i governi e la società nel suo insieme risparmieranno i costi dovuti alla disoccupazione e all’esclusione sociale».

Due tipi di work sharing


Esistono essenzialmente due tipi di misure di work sharing. La prima è quando un’azienda decide di ridurre gli orari di lavoro dei propri dipendenti, con l’obiettivo di spalmare un minore carico di lavoro su uno stesso (o simile) numero di lavoratori al fine di evitare licenziamenti.

L’esempio più conosciuto è forse quello del programma  Kurzarbeit in Germania, che si stima abbia salvato circa 400.000 posti di lavoro ed abbia interessato almeno 1,4 milioni di lavoratori all’apice della crisi nel maggio 2009.

Anche il Giappone è riuscito a conservare circa 370.000 impieghi grazie alle misure di work sharing EAS di cui hanno beneficiato più di 2,5 milioni di lavoratori.

Parallelamente, il programma di riduzione degli orari di lavoro in Turchia, il più ampio in un paese in via di sviluppo, ha salvato 100.000 posti.

Negli Stati Uniti, sono stati salvati nel 2009 circa 165 mila impieghi grazie a piccoli programmi di work sharing attuati in alcuni Stati che hanno spinto il governo federale ad adottare recentemente  una nuova legge sul tema.

Il work sharing contribuisce all’aumento dell’occupazione, alla conciliazione vita-lavoro, a imprese ed economie più sostenibili, a società più eque”.
Queste misure temporanee di work sharing legate strettamente alla crisi sono riuscite a preservare posti di lavoro durante la Grande recessione, il che solleva una domanda interessante: si potrebbero prefigurare misure simili da adottare in via permanente per aumentare l’occupazione?

Il secondo tipo di work sharing è la conseguenza di una decisione del governo di favorire la riduzione degli orari di lavoro al fine di incoraggiare altre assunzioni e quindi aumentare i livelli occupazionali. Può essere attuata in qualsiasi momento e non solo in periodi di crisi.

Work sharing come misura permanente


Il work sharing, come misura permanente, può consistere in una settimana di lavoro più corta imposta per legge, nella contrattazione collettiva in determinate aziende, fino all’utilizzo di una tassa o altri incentivi (come la riduzione dei contributi dei dipendenti o dei crediti d’imposta) per quelle imprese che adottano queste misure.

Questo studio dimostra che si possono ottenere dei modesti miglioramenti in termini di occupazione, una conclusione importante vista la persistenza della crisi mondiale del lavoro.

Lo studio offre anche un’analisi approfondita di programmi di work sharing adottati in diversi paesi come Austria, Belgio, Francia, Germania, Olanda, Giappone, Turchia, Stati Uniti e Uruguay.

Fattori di successo


Perché siano efficaci, questi programmi devono essere sostenuti dai governi, in particolare attraverso:
  • criteri di eleggibilità equilibrati per le imprese e i lavoratori
  • formalità amministrative minime per le imprese
  • flessibilità del volume e dei modelli di riduzione dell’orario di lavoro
  • integrazione salariale per i lavoratori interessati
  • fissare una durata ragionevole, ma limitata, dei sussidi al lavoro ripartito per minimizzare gli effetti negativi (ovvero il rischio che i sussidi pubblici al lavoro ripartito vadano a imprese che non avrebbero comunque fatto dei licenziamenti).
«Benché il work sharing, in entrambe le tipologie esaminate, non sia una “ricetta miracolosa”, rappresenta senz’altro una delle misure che potrebbe contribuire all’aumento dell’occupazione, alla conciliazione vita-lavoro, a imprese ed economie più sostenibili, e infine, a società più eque», ha concluso Ghosheh.