Economia informale

Uscire dall’informalità: una nuova norma dell’ILO per fronteggiare la trappola dell’economia informale

Dopo l’adozione della nuova Raccomandazione dell’ILO sulla transizione dall’economia informale verso l’economia formale, ILO News presenta alcune delle buone prassi in tutto il mondo che sono alla base di questa storica norma internazionale del lavoro.

Analisi | 30 giugno 2015
GINEVRA (ILO News) — L’economia informale è una realtà immensa che assorbe oltre la metà della popolazione attiva mondiale e oltre il 90 per cento delle piccole e medie imprese — cifra che non tiene conto della miriade di microimprese nei paesi in via di sviluppo.

Di conseguenza, per milioni di lavoratori e di unità economiche in tutto il mondo, le condizioni di lavoro sono scarse e non esistono i diritti sul lavoro. Bassa qualità dell’occupazione, protezione sociale inadeguata, scarsa governance e bassa produttività sono alcuni degli ostacoli incontrati dai lavoratori e dalle imprese intrappolate nell’informalità.

Ecco la ragione per cui si può dire storica la nuova norma internazionale del lavoro adottata dalla 104ª Conferenza Internazionale del Lavoro. In effetti, per la prima volta, la nuova norma offre agli Stati membri indicazioni per facilitare la transizione dall’informalità verso l’economia formale.

La nuova norma del lavoro persegue un triplice obiettivo: facilitare la transizione dei lavoratori e delle unità economiche dall’economia informale verso quella formale; promuovere la creazione di imprese e di posti di lavoro dignitosi nell’economia formale; prevenire l’informalizzazione dei lavori formali.

Frédéric Lapeyre, esperto ILO: Facilitare la transizione dall’economia informale verso l’economia formale
«Non basta adottare una nuova Raccomandazione: occorre anche metterla in applicazione», spiega Azita Berar-Awad, Direttrice del Dipartimento delle Politiche dell’Occupazione dell’ILO «Esistono molti esempi di buone prassi in tutto il mondo che indicano in che modo è possibile uscire dall’informalità».

Il programma FORLAC, lanciato dall’Ufficio regionale dell’ILO per l’America Latina e i Caraibi, ha realizzato un grosso lavoro di analisi in funzione del quale sono state formulate raccomandazioni strategiche e linee guida per facilitare la transizione dall’economia informale verso l’economia formale.

In Uruguay, le autorità preposte all’amministrazione della sicurezza sociale e alla riscossione delle tasse si sono unite per stabilire un meccanismo unico semplificato di pagamento delle tasse per i piccoli contribuenti, chiamato Monotributo. Le persone coperte da questo sistema hanno diritto alle stesse prestazioni sociali dei lavoratori dell’economia formale.

Il Brasile, che ha adottato un quadro strategico nazionale integrato per combattere la povertà, offre l’esempio di un paese in rapida formalizzazione. Durante l’ultimo decennio, la creazione di posti di lavoro nell’economia formale è stata tre volte più rapida che nell’economia informale. Inoltre, le politiche pubbliche innovanti hanno dimostrato la loro efficacia nel concentrarsi su gruppi difficili da raggiungere, come i lavoratori indipendenti e le micro e piccole imprese, per facilitarne la transizione verso l’economia formale.

Anche gli investimenti mirati ad alta intensità di manodopera possono facilitare la transizione verso la formalità. Un esempio viene dai programmi per l’occupazione avviati con successo in Sudafrica durante la recente crisi finanziari mondiale.

Un modo innovante di promuovere la formalizzazione, lo forniscono le istituzioni di microfinanza. I prestiti, i depositi e gli altri contratti di servizio della microfinanza contengono elementi dell’economia formale, ma senza tutte le complicazioni dei servizi bancari generali. In Burkina Faso e in India, l’ILO, con la collaborazione delle istituzioni di microfinanza, ha guidato iniziative per valutare l’impatto della formalizzazione.

Le attività dell’ILO nelle Filippine sono un buon esempio di possibile transizione verso l’economia formale. In questo modo si è potuto fornire un reddito assolutamente necessario alle vittime del tifone, ma anche garantire una salario minimo, la protezione sociale e la salute e la sicurezza sul lavoro — tutti passi importanti sulla via della formalità e del lavoro dignitoso.

Uno dei cambiamenti positivi per i lavoratori che passano dall’economia informale a quella formale è l’accesso alla protezione sociale. Sono ormai disponibili molti esempi di buone prassi relative all’estensione o al miglioramento della copertura di specifiche categorie di lavoratori, come i lavoratori indipendenti, i lavoratori a domicilio o i lavoratori domestici.

In India, l’Associazione delle Lavoratrici Indipendenti (Self Employed Women’s Association - SEWA) è un iniziativa di successo per permettere alle donne povere nell’economia informale di organizzarsi e di responsabilizzasi. Tutto insieme sindacato, cooperativa e movimento femminile, SEWA fornisce diversi servizi, fra cui la formazione, l’assistenza per creare cooperative, come pure servizi finanziari, assicurativi e di sicurezza sociale. Il modello SEWA ha ispirato altre iniziative, non solo in Asia, ma anche in Sudafrica e in Turchia.

I dodici principi guida contenuti nella nuova norma dell’ILO sono ispirati a queste buone prassi ed esperienze e ad altre nei paesi in cui si sono dimostrate efficaci.

«Le iniziative isolate che affrontano un unico aspetto dell’informalità producono di solito risultati limitati. Le esperienze di successo nei paesi intenti a fronteggiare l’informalità sono quelle basate su un approccio integrato. La Raccomandazione parte dall’insegnamento di queste strategie di successo, fornisce linee guida strategiche relative alla formulazione e all’attuazione di un quadro strategico integrato per facilitare la transizione verso la formalità e per garantire che questo quadro venga incluso nelle strategie nazionali di sviluppo», conclude Azita Berar-Awad.

L’economia informale in cifre
  • In America Latina e nei Caraibi, la quota dell’occupazione informale non agricola è compresa tra il 39,8 per cento in Uruguay e il 75,1 per cento in Bolivia.
  • In numerosi paesi africani, l’occupazione informale non agricola supera il 50 per cento, con picchi del 76,2 per cento in Tanzania e dell’81,1 per cento in Mali.
  • Con rispettivamente il 9,3 per cento e il 17,8 per cento, paesi africani a reddito medio come Mauritius e il Sudafrica registrano percentuali molto più basse di occupazione informale.
  • Anche in Africa del Nord e nel Medio Oriente, l’occupazione informale rappresenta una quota importante dell’occupazione totale compresa tra il 30 per cento e il 70 per cento.
  • In Asia del Sud e dell’Est, la percentuale dei lavoratori nell’economia informale è compreso tra il 42,3 per cento in Thailandia e l’83,6 per cento in India. In Cina, secondo una stima basata su sei città, l’occupazione informale raggiunge il 32,6 per cento.
  • In tutte le regioni in via di sviluppo, il lavoro lavoro autonomo rappresenta una percentuale più alta dell’economia informale non agricola rispetto all’occupazione dipendente. Il lavoro informale rappresenta pressoché il terzo del totale dell’occupazione non agricola in tutto il mondo.
  • Nella maggior parte dei paesi, le donne sono più numerose degli uomini nell’economia informale. Altre popolazioni a rischio, come i giovani, le minoranze etniche, i migranti, gli anziani e i disabili, sono anche sovrarappresentati nell’economia informale.