Lavoro forzato
Domande e risposte sul «Costo della coercizione», un nuovo rapporto dell’ILO sul lavoro forzato
Secondo il nuovo rapporto dell’ILO sul lavoro forzato intitolato «Il costo della coercizione», le vittime di lavoro forzato subirebbero una perdita in termini di salari non pagati di circa 20 miliardi di dollari all’anno. Questi e altri dati offrono un importante argomento economico di discussione per intensificare l’azione globale contro il lavoro forzato. Intervista con Roger Plant, capo del Programma Speciale di Azione per combattere il Lavoro Forzato.
ILO Online: Quali sono le principali conclusioni di questo rapporto?
Roger Plant: In questo rapporto facciamo due cose essenziali. Innanzitutto, analizziamo nuove tematiche relative al lavoro forzato moderno, incluso la tratta degli essere umani per lo sfruttamento lavorativo e sessuale, facendo particolare attenzione alle tendenze registrate negli ultimi quattro anni. In secondo luogo, stiamo mettendo a punto un’agenda per un’azione coordinata, sia a livello nazionale che internazionale, in cui si mette in evidenza il ruolo che può essere ricoperto dai ministri del lavoro e dagli ispettori del lavoro, integrando l’applicazione della legge e altri interventi. Sottolineiamo anche il ruolo delle organizzazioni degli imprenditori e dei lavoratori e da altri gruppi della società civile, poiché oggi la maggior parte del lavoro forzato avviene nel settore privato.
Dal nostro ultimo rapporto globale sul lavoro forzato del 2005, possiamo registrare numerosi successi. Molti paesi hanno adottato nuove leggi, soprattutto contro la tratta degli esseri umani, sia per sfruttamento lavorativo che sessuale. Molti hanno adottato piani di azione nazionali, attraverso l’istituzione di meccanismi interministeriali per un’azione coordinata contro la tratta e, in alcuni casi, contro il lavoro forzato. Altri hanno organizzato e formato unità speciali per identificare i casi di lavoro forzato e per liberare le vittime. Ma ci sono anche molte differenze e sfide, soprattutto relativamente ai temi su cui ci si dovrebbe soffermare maggiormente. Primo, nonostante le nuove leggi, non è ancora del tutto chiaro quali siano quelle pratiche abusive che costituiscono un reato penale di lavoro forzato o di tratta di esseri umani. Si parla molto di pratiche analoghe alla schiavitù e di sfruttamento della manodopera, ma è necessaria più chiarezza. I governi, sia nei paesi in via di sviluppo che in quelli industrializzati, si rivolgono sempre di più all’ILO chiedendo sostegno su queste tematiche. Relativamente alla tratta degli esseri umani, alcuni paesi considerano la coercizione come un elemento essenziale di questo reato, altri invece pongono l’accento sulle condizioni di lavoro degradanti o “inumane” del lavoro, oppure su entrambi gli aspetti. In secondo luogo, forse a causa di queste incertezze, sono quasi del tutto assenti stime nazionali sul lavoro forzato. Nel 2005, l’ILO ha fornito una stima mondiale di 12,3 milioni di vittime del lavoro forzato, insieme a stime regionali, insistendo sulla necessità di avere stime nazionali affidabili. Da allora abbiamo lavorato per sviluppare e condividere degli indicatori per aiutare gli Stati membri a condurre queste stime e abbiamo avviato i primi studi pilota. La terza preoccupazione, collegata alle due precedenti, è relativa al fatto che la legge contro il lavoro forzato e la tratta è ancora poco applicata. Questo fa nascere una domanda importante. Se il ricorso al diritto penale è stato fino ad ora esiguo, cos’altro si può fare? E chi può agire? Secondo il rapporto i tribunali del lavoro e la giustizia del lavoro possono anche utilizzare altri rimedi, integrando l’applicazione del diritto penale.
Una sfida particolare è salvaguardare i diritti dei lavoratori migranti, soprattutto delle giovani donne, le quali corrono un rischio particolarmente elevato di finire vittime del lavoro forzato e della tratta. Sono ancora più vulnerabili quando si trovano in una situazione di irregolarità, quando cioè possono essere denunciate alle autorità e deportate nel caso in cui non accettino condizioni al di sotto degli standard riconosciuti o lavori non pagati. Crescono le preoccupazioni se si pensa che anche i lavoratori migranti che si trovano in una situazione regolare potrebbero comunque cadere vittime del lavoro forzato attraverso una forma moderna di servitù per debito. Potrebbero indebitarsi fortemente con gli intermediari al momento del reclutamento. Se firmano contratti nei loro paesi di origine, potrebbero poi ottenere contratti diversi nei paesi di destinazione, con salari inferiori e orari di lavoro più lunghi.
Una delle principali scoperte è che, benché esistano casi flagranti di lavoro forzato in tutto il mondo che prevedono violenza fisica e limitazioni, continuano a proliferare forme di coercizione più subdole alle quali si deve rispondere in modo creativo. Per questo noi proponiamo un programma per un’azione globale futura che ruoti intorno a quattro tematiche principali: raccolta dati e ricerca, sensibilizzazione a livello globale, miglioramento dell’applicazione della legge e della giustizia del lavoro; maggiore collaborazione tra lavoratori e imprese contro il lavoro forzato e la tratta.
ILO Online: Quante persone sono attualmente coinvolte nel lavoro forzato?
Roger Plant: Data la mancanza di stime regionali attendibili sul lavoro forzato, le nostre stime si basano ancora sul rapporto globale del 2005, quando secondo l’ILO le vittime di lavoro forzato o servitù nel mondo erano almeno 12,3 milioni. Di queste, 8,1 milioni erano sfruttate da privati, al di fuori dell’industria del sesso. Riteniamo che sia prematuro aggiornare questi dati nel rapporto del 2009, poiché questi erano basati sull’estrapolazione di casi reali di lavoro forzato riportati nell’arco di tempo di 10 anni. Ora stiamo preparando il terreno per stime più attendibili per ciascun paese, che sono necessarie ma ancora quasi del tutto inesistenti. Questi esercizi sono necessari al fine di fare luce sulla dimensione nazionale del lavoro forzato contemporaneo.
ILO Online: Perché si parla di “costo della coercizione”? Che cosa si misura e come?
Roger Plant: La nostra preoccupazione maggiore è il costo della coercizione umana, sia per le vittime e le loro famiglie in termini di incalcolabili sofferenze, sia per la società nel suo complesso. Nel pieno di una crisi globale finanziaria ed economica, di cui subiranno le conseguenze soprattutto i più poveri e i più vulnerabili, vogliamo attirare l’attenzione pubblica su un’altra crisi, meno pubblicizzata ma di eguale importanza, quella del mercato del lavoro. Fattori simili, soprattutto l’avarizia, danno la possibilità agli imprenditori e agli intermediari di trarre profitti a spese dei poveri. Così come con il mercato finanziario, ci sono molte aree grige in cui possono operare ai margini della legge e trarre vantaggi dalle lacune normative. Abbiamo fatto un primo tentativo per misurare il costo finanziario che grava sui lavoratori, soprattutto per stimolare l’interesse e incoraggiare, in futuro, un’attenzione più rigorosa e sistematica su questa materia. Secondo il nostro ultimo Rapporto globale, il totale dei profitti illeciti generati in un anno dal lavoro forzato legato alla tratta ammontava a circa 31,7 miliardi di dollari. Di questa cifra, 28 miliardi provenivano dalle vittime della tratta a fini di sfruttamento sessuale. In altre parole, circa 4 miliardi di dollari sono generati al di fuori dell’industria del sesso. I dati del 2005, sebbene elevati, potrebbero tuttavia aver sottostimato i profitti derivanti dalla tratta, o anche dal lavoro forzato, nei settori a rischio dell’economia. A questo punto cominciamo a raccogliere dati sui guadagni medi di queste attività in cui si è consapevoli della presenza di un’alta incidenza del lavoro forzato, in tutti i settori dell’economia, e li sommiamo ai dati regionali sul lavoro forzato. Sulla base di questi dati, il nuovo Rapporto Globale stima che il costo finanziario di questi lavoratori, in termini di salari non pagati, ore di lavoro straordinario non pagate e altre deduzioni, ammonti a 20 miliardi di dollari. Pertanto, una delle conclusioni è che il costo opportunità del lavoro forzato in rapporto a un lavoro libero è cinque volte più elevato rispetto al calcolo effettuato precedentemente sui profitti generati dalla tratta a fini di sfruttamento della manodopera. Le cifre approssimative che presentiamo costituiscono una prova evidente del perché il lavoro forzato debba essere trattato come una questione economica, oltre che morale o in relazione ai diritti dell’uomo, e del perché le agenzie competenti per la riduzione della povertà dovrebbero prestare più attenzione al tema del lavoro forzato.
ILO Online: Quale è il legame tra il lavoro forzato, così come definito dall’ILO, e lo sfruttamento del lavoro?
Roger Plant: Queste sono domande complicate alle quali è difficile dare una risposta sintetica. La definizione di lavoro forzato dell’ILO prevede la coercizione e la presenza di due elementi fondamentali: la minaccia di una pena e la non volontarietà. Ma ci sono molti modi per negare la libertà di scelta. Molte persone si ritrovano coinvolte in situazioni di lavoro forzato a loro insaputa, a causa di una frode o di un inganno, e scoprono solo successivamente che non sono libere di abbandonare il proprio lavoro. Ricerche e studi effettuati dall’ILO, soprattutto attraverso il Programma di Azione Speciale per Combattere il Lavoro Forzato, ma anche da altre organizzazioni, sottolineano come sia difficile distinguere caso per caso tra la coercizione assoluta e altri fattori che spingono le persone in situazioni di grave sfruttamento lavorativo. E’ esattamente per questa ragione che abbiamo sviluppato indicatori funzionali, che prendono in considerazione aspetti come la frode, la coercizione o l’abuso della vulnerabilità nei diversi momenti del ciclo di reclutamento e del lavoro.
ILO Online: Quale è il contributo dell’ILO per limitare il lavoro forzato e la tratta degli esseri umani?
Roger Plant: Un esempio riguarda la serie di indicatori sviluppati dall’ILO in cooperazione con l’Unione Europea. Questi sono basati su una conoscenza tecnica estesa e possono essere utilizzati per frenare la tratta degli esseri umani a fini di sfruttamento lavorativo e sessuale. Gli indicatori considerano fattori come il reclutamento ingannevole o forzato, così come la coercizione e lo sfruttamento nel lavoro. Sono divisi in categorie di “medio” e “forte” e vanno dalla frode relativa al tipo di lavoro e salario alla confisca dei documenti di identità, la minaccia di denuncia alle autorità e la detenzione. Ma c’è bisogno di molte altre ricerche e dati sul problema del lavoro forzato, che è per sua natura difficile da individuare. Il rapporto chiede ulteriori sforzi, per riunire le statistiche e imparare di più sul tema, come parte del Piano di Azione Globale contro il lavoro forzato.
ILO Online: Che ruolo ha il sistema di reclutamento nell’ambito del lavoro forzato?
Roger Plant: Quando sono regolate in maniera efficiente e funzionano correttamente, le agenzie di reclutamento possono essere funzionali al mercato del lavoro. Sfortunatamente, sono ben noti gli abusi da parte dei reclutatori – delle imprese formali e informali, ma anche di singoli individui – che possono condurre alla tratta e/o al lavoro forzato. Esempi di pratiche abusive di reclutamento sono la frode sul tipo di lavoro o sulla paga, contratti di lavoro inesistenti o fraudolenti, alte spese di reclutamento che possono essere di ben 10 volte superiori al limite massimo previsto dalla legge.
ILO Online: Ci sono stati progressi nella lotta contro il lavoro forzato negli ultimi anni?
Roger Plant: Sono stati registrati numerosi progressi su molti fronti, sia a livello internazionale che nazionale, ma sono ora necessari sforzi maggiori per rispondere alle nuove sfide. Sono state rafforzate le legislazioni nazionali in tutto il mondo, soprattutto per quanto riguarda la lotta alla tratta, ma purtroppo l’applicazione di queste norme è ancora scarsa. Ci sono stati sforzi congiunti da parte dei governi, delle imprese e di altri stakeholders al fine di identificare il lavoro forzato e liberare le sue vittime, o per prevenire l’incidenza del lavoro forzato nella filiera produttiva. Ci sono state iniziative importanti per perseguire penalmente i reati. Inoltre, sono state attuate misure per migliorare i sistemi di reclutamento tra i paesi di origine e quelli di destinazione.
ILO Online: Oltre a questo, quali altre sfide rimangono?
Roger Plant: Mentre le buone pratiche dovrebbero essere documentate e condivise, si devono ancora affrontare tre sfide importanti. Innanzitutto, i governi devono smettere di negare l’esistenza del problema e supportare la ricerca e le indagini per documentare l’incidenza del lavoro forzato nei loro paesi. In secondo luogo, i Ministri del lavoro dovrebbero assumere un ruolo più attivo nel guidare un’azione integrata contro il lavoro forzato. Infine, lo stanziamento delle risorse destinate alla prevenzione, protezione e reintegrazione delle vittime dovrebbe corrispondere alle risorse destinate al perseguimento del reato. La prevenzione dovrebbe poi essere concepita nel suo senso più ampio, cioè dovrebbe comprendere e affrontare quegli aspetti sistematici della governance del mercato del lavoro e della politica migratoria che sono alla base della gran parte del lavoro forzato.
Roger Plant: In questo rapporto facciamo due cose essenziali. Innanzitutto, analizziamo nuove tematiche relative al lavoro forzato moderno, incluso la tratta degli essere umani per lo sfruttamento lavorativo e sessuale, facendo particolare attenzione alle tendenze registrate negli ultimi quattro anni. In secondo luogo, stiamo mettendo a punto un’agenda per un’azione coordinata, sia a livello nazionale che internazionale, in cui si mette in evidenza il ruolo che può essere ricoperto dai ministri del lavoro e dagli ispettori del lavoro, integrando l’applicazione della legge e altri interventi. Sottolineiamo anche il ruolo delle organizzazioni degli imprenditori e dei lavoratori e da altri gruppi della società civile, poiché oggi la maggior parte del lavoro forzato avviene nel settore privato.
Dal nostro ultimo rapporto globale sul lavoro forzato del 2005, possiamo registrare numerosi successi. Molti paesi hanno adottato nuove leggi, soprattutto contro la tratta degli esseri umani, sia per sfruttamento lavorativo che sessuale. Molti hanno adottato piani di azione nazionali, attraverso l’istituzione di meccanismi interministeriali per un’azione coordinata contro la tratta e, in alcuni casi, contro il lavoro forzato. Altri hanno organizzato e formato unità speciali per identificare i casi di lavoro forzato e per liberare le vittime. Ma ci sono anche molte differenze e sfide, soprattutto relativamente ai temi su cui ci si dovrebbe soffermare maggiormente. Primo, nonostante le nuove leggi, non è ancora del tutto chiaro quali siano quelle pratiche abusive che costituiscono un reato penale di lavoro forzato o di tratta di esseri umani. Si parla molto di pratiche analoghe alla schiavitù e di sfruttamento della manodopera, ma è necessaria più chiarezza. I governi, sia nei paesi in via di sviluppo che in quelli industrializzati, si rivolgono sempre di più all’ILO chiedendo sostegno su queste tematiche. Relativamente alla tratta degli esseri umani, alcuni paesi considerano la coercizione come un elemento essenziale di questo reato, altri invece pongono l’accento sulle condizioni di lavoro degradanti o “inumane” del lavoro, oppure su entrambi gli aspetti. In secondo luogo, forse a causa di queste incertezze, sono quasi del tutto assenti stime nazionali sul lavoro forzato. Nel 2005, l’ILO ha fornito una stima mondiale di 12,3 milioni di vittime del lavoro forzato, insieme a stime regionali, insistendo sulla necessità di avere stime nazionali affidabili. Da allora abbiamo lavorato per sviluppare e condividere degli indicatori per aiutare gli Stati membri a condurre queste stime e abbiamo avviato i primi studi pilota. La terza preoccupazione, collegata alle due precedenti, è relativa al fatto che la legge contro il lavoro forzato e la tratta è ancora poco applicata. Questo fa nascere una domanda importante. Se il ricorso al diritto penale è stato fino ad ora esiguo, cos’altro si può fare? E chi può agire? Secondo il rapporto i tribunali del lavoro e la giustizia del lavoro possono anche utilizzare altri rimedi, integrando l’applicazione del diritto penale.
Una sfida particolare è salvaguardare i diritti dei lavoratori migranti, soprattutto delle giovani donne, le quali corrono un rischio particolarmente elevato di finire vittime del lavoro forzato e della tratta. Sono ancora più vulnerabili quando si trovano in una situazione di irregolarità, quando cioè possono essere denunciate alle autorità e deportate nel caso in cui non accettino condizioni al di sotto degli standard riconosciuti o lavori non pagati. Crescono le preoccupazioni se si pensa che anche i lavoratori migranti che si trovano in una situazione regolare potrebbero comunque cadere vittime del lavoro forzato attraverso una forma moderna di servitù per debito. Potrebbero indebitarsi fortemente con gli intermediari al momento del reclutamento. Se firmano contratti nei loro paesi di origine, potrebbero poi ottenere contratti diversi nei paesi di destinazione, con salari inferiori e orari di lavoro più lunghi.
Una delle principali scoperte è che, benché esistano casi flagranti di lavoro forzato in tutto il mondo che prevedono violenza fisica e limitazioni, continuano a proliferare forme di coercizione più subdole alle quali si deve rispondere in modo creativo. Per questo noi proponiamo un programma per un’azione globale futura che ruoti intorno a quattro tematiche principali: raccolta dati e ricerca, sensibilizzazione a livello globale, miglioramento dell’applicazione della legge e della giustizia del lavoro; maggiore collaborazione tra lavoratori e imprese contro il lavoro forzato e la tratta.
ILO Online: Quante persone sono attualmente coinvolte nel lavoro forzato?
Roger Plant: Data la mancanza di stime regionali attendibili sul lavoro forzato, le nostre stime si basano ancora sul rapporto globale del 2005, quando secondo l’ILO le vittime di lavoro forzato o servitù nel mondo erano almeno 12,3 milioni. Di queste, 8,1 milioni erano sfruttate da privati, al di fuori dell’industria del sesso. Riteniamo che sia prematuro aggiornare questi dati nel rapporto del 2009, poiché questi erano basati sull’estrapolazione di casi reali di lavoro forzato riportati nell’arco di tempo di 10 anni. Ora stiamo preparando il terreno per stime più attendibili per ciascun paese, che sono necessarie ma ancora quasi del tutto inesistenti. Questi esercizi sono necessari al fine di fare luce sulla dimensione nazionale del lavoro forzato contemporaneo.
ILO Online: Perché si parla di “costo della coercizione”? Che cosa si misura e come?
Roger Plant: La nostra preoccupazione maggiore è il costo della coercizione umana, sia per le vittime e le loro famiglie in termini di incalcolabili sofferenze, sia per la società nel suo complesso. Nel pieno di una crisi globale finanziaria ed economica, di cui subiranno le conseguenze soprattutto i più poveri e i più vulnerabili, vogliamo attirare l’attenzione pubblica su un’altra crisi, meno pubblicizzata ma di eguale importanza, quella del mercato del lavoro. Fattori simili, soprattutto l’avarizia, danno la possibilità agli imprenditori e agli intermediari di trarre profitti a spese dei poveri. Così come con il mercato finanziario, ci sono molte aree grige in cui possono operare ai margini della legge e trarre vantaggi dalle lacune normative. Abbiamo fatto un primo tentativo per misurare il costo finanziario che grava sui lavoratori, soprattutto per stimolare l’interesse e incoraggiare, in futuro, un’attenzione più rigorosa e sistematica su questa materia. Secondo il nostro ultimo Rapporto globale, il totale dei profitti illeciti generati in un anno dal lavoro forzato legato alla tratta ammontava a circa 31,7 miliardi di dollari. Di questa cifra, 28 miliardi provenivano dalle vittime della tratta a fini di sfruttamento sessuale. In altre parole, circa 4 miliardi di dollari sono generati al di fuori dell’industria del sesso. I dati del 2005, sebbene elevati, potrebbero tuttavia aver sottostimato i profitti derivanti dalla tratta, o anche dal lavoro forzato, nei settori a rischio dell’economia. A questo punto cominciamo a raccogliere dati sui guadagni medi di queste attività in cui si è consapevoli della presenza di un’alta incidenza del lavoro forzato, in tutti i settori dell’economia, e li sommiamo ai dati regionali sul lavoro forzato. Sulla base di questi dati, il nuovo Rapporto Globale stima che il costo finanziario di questi lavoratori, in termini di salari non pagati, ore di lavoro straordinario non pagate e altre deduzioni, ammonti a 20 miliardi di dollari. Pertanto, una delle conclusioni è che il costo opportunità del lavoro forzato in rapporto a un lavoro libero è cinque volte più elevato rispetto al calcolo effettuato precedentemente sui profitti generati dalla tratta a fini di sfruttamento della manodopera. Le cifre approssimative che presentiamo costituiscono una prova evidente del perché il lavoro forzato debba essere trattato come una questione economica, oltre che morale o in relazione ai diritti dell’uomo, e del perché le agenzie competenti per la riduzione della povertà dovrebbero prestare più attenzione al tema del lavoro forzato.
ILO Online: Quale è il legame tra il lavoro forzato, così come definito dall’ILO, e lo sfruttamento del lavoro?
Roger Plant: Queste sono domande complicate alle quali è difficile dare una risposta sintetica. La definizione di lavoro forzato dell’ILO prevede la coercizione e la presenza di due elementi fondamentali: la minaccia di una pena e la non volontarietà. Ma ci sono molti modi per negare la libertà di scelta. Molte persone si ritrovano coinvolte in situazioni di lavoro forzato a loro insaputa, a causa di una frode o di un inganno, e scoprono solo successivamente che non sono libere di abbandonare il proprio lavoro. Ricerche e studi effettuati dall’ILO, soprattutto attraverso il Programma di Azione Speciale per Combattere il Lavoro Forzato, ma anche da altre organizzazioni, sottolineano come sia difficile distinguere caso per caso tra la coercizione assoluta e altri fattori che spingono le persone in situazioni di grave sfruttamento lavorativo. E’ esattamente per questa ragione che abbiamo sviluppato indicatori funzionali, che prendono in considerazione aspetti come la frode, la coercizione o l’abuso della vulnerabilità nei diversi momenti del ciclo di reclutamento e del lavoro.
ILO Online: Quale è il contributo dell’ILO per limitare il lavoro forzato e la tratta degli esseri umani?
Roger Plant: Un esempio riguarda la serie di indicatori sviluppati dall’ILO in cooperazione con l’Unione Europea. Questi sono basati su una conoscenza tecnica estesa e possono essere utilizzati per frenare la tratta degli esseri umani a fini di sfruttamento lavorativo e sessuale. Gli indicatori considerano fattori come il reclutamento ingannevole o forzato, così come la coercizione e lo sfruttamento nel lavoro. Sono divisi in categorie di “medio” e “forte” e vanno dalla frode relativa al tipo di lavoro e salario alla confisca dei documenti di identità, la minaccia di denuncia alle autorità e la detenzione. Ma c’è bisogno di molte altre ricerche e dati sul problema del lavoro forzato, che è per sua natura difficile da individuare. Il rapporto chiede ulteriori sforzi, per riunire le statistiche e imparare di più sul tema, come parte del Piano di Azione Globale contro il lavoro forzato.
ILO Online: Che ruolo ha il sistema di reclutamento nell’ambito del lavoro forzato?
Roger Plant: Quando sono regolate in maniera efficiente e funzionano correttamente, le agenzie di reclutamento possono essere funzionali al mercato del lavoro. Sfortunatamente, sono ben noti gli abusi da parte dei reclutatori – delle imprese formali e informali, ma anche di singoli individui – che possono condurre alla tratta e/o al lavoro forzato. Esempi di pratiche abusive di reclutamento sono la frode sul tipo di lavoro o sulla paga, contratti di lavoro inesistenti o fraudolenti, alte spese di reclutamento che possono essere di ben 10 volte superiori al limite massimo previsto dalla legge.
ILO Online: Ci sono stati progressi nella lotta contro il lavoro forzato negli ultimi anni?
Roger Plant: Sono stati registrati numerosi progressi su molti fronti, sia a livello internazionale che nazionale, ma sono ora necessari sforzi maggiori per rispondere alle nuove sfide. Sono state rafforzate le legislazioni nazionali in tutto il mondo, soprattutto per quanto riguarda la lotta alla tratta, ma purtroppo l’applicazione di queste norme è ancora scarsa. Ci sono stati sforzi congiunti da parte dei governi, delle imprese e di altri stakeholders al fine di identificare il lavoro forzato e liberare le sue vittime, o per prevenire l’incidenza del lavoro forzato nella filiera produttiva. Ci sono state iniziative importanti per perseguire penalmente i reati. Inoltre, sono state attuate misure per migliorare i sistemi di reclutamento tra i paesi di origine e quelli di destinazione.
ILO Online: Oltre a questo, quali altre sfide rimangono?
Roger Plant: Mentre le buone pratiche dovrebbero essere documentate e condivise, si devono ancora affrontare tre sfide importanti. Innanzitutto, i governi devono smettere di negare l’esistenza del problema e supportare la ricerca e le indagini per documentare l’incidenza del lavoro forzato nei loro paesi. In secondo luogo, i Ministri del lavoro dovrebbero assumere un ruolo più attivo nel guidare un’azione integrata contro il lavoro forzato. Infine, lo stanziamento delle risorse destinate alla prevenzione, protezione e reintegrazione delle vittime dovrebbe corrispondere alle risorse destinate al perseguimento del reato. La prevenzione dovrebbe poi essere concepita nel suo senso più ampio, cioè dovrebbe comprendere e affrontare quegli aspetti sistematici della governance del mercato del lavoro e della politica migratoria che sono alla base della gran parte del lavoro forzato.