I mercati al servizio dell’occupazione: la strada per uscire dalla crisi

Intervista a Raymond Torres, Direttore dell’Istituto Internazionale di Studi Sociali dell’ILO

Articolo | 20 dicembre 2011

Il World of Work Report 2011 (“Rapporto sul mondo del lavoro 2011) chiede di mantenere e, in alcuni casi, si rafforzare i programmi per l’occupazione, con l’avvertimento che le iniziative di riduzione del debito pubblico e dei deficit sono perlopiù incentrate in modo sproporzionato sul mercato del lavoro e i servizi sociali. Ad esempio, secondo il rapporto, una spesa di mezzo punto percentuale del PIL a favore delle politiche attive del mercato del lavoro può incrementare l’occupazione tra lo 0,4% e lo 0,8% secondo i paesi. Il rapporto chiede anche un sostegno a favore dell’investimento nell’economia reale attraverso una riforma finanziario e misure a altre misure specifiche di sostegno.

Recenti tendenze dimostrano che non è stata prestata sufficiente attenzione al lavoro come motore chiave per la ripresa. In che modo possiamo far sì che i mercati siano al servizio dell’occupazione?

Raymond Torres: I governi si sono spesi molto per placare i mercati finanziari. In particolare, nelle economie avanzate, il dibattito è stato perlopiù incentrato sull’austerità fiscale e su come salvare le banche, senza necessariamente riformare quelle pratiche delle banche che hanno condotto alla crisi. Ancora peggio, c’è stata una mancanza di visione su come l’economia reale potrà riprendersi. In alcuni casi, tutto ciò è stato accompagnato da misure che minacciano la protezione sociale e i diritti dei lavoratori. Questo non aiuterà né la crescita, né l’occupazione.

Allo stesso tempo, la regolamentazione del sistema finanziario – epicentro della crisi globale – rimane inadeguato. Nelle economie avanzate, il settore finanziario non svolge quello che dovrebbe essere il suo normale ruolo di intermediario fornendo credito all’economia reale. E le economie emergenti sono state colpite da enormi flussi di capitali a breve termine e molto volatili che destabilizzano le loro economie.

In pratica, questo significa che l’occupazione è messa in secondo piano rispetto agli obiettivi finanziari. E’ più che mai urgente cambiare marcia. Il margine che abbiamo per agire sulla creazione di posti di lavoro e di reddito è sempre più ridotto. In effetti, l’esclusione dal mercato del lavoro sta diventando strutturale e il malcontento sociale cresce. Il circolo vizioso può essere interrotto mettendo i mercati al servizio dell’occupazione, e non il contrario.

Alcuni economisti raccomandano la moderazione salariale come mezzo per rafforzare l’occupazione e la produttività?

Raymond Torres: Noi pensiamo che sia arrivato il momento di riconsiderare le politiche di “moderazione salariale”. Negli ultimi 20 anni, la maggior parte dei paesi ha assistito ad un riduzione della parte del reddito che viene attribuita ai lavoratori, il che significa che i redditi reali dei lavoratori dipendenti e dei lavoratori autonomi sono, in media, cresciuti ad un ritmo inferiore a quello dell’aumento della produttività. La moderazione salariale non si è tradotta in maggiore investimento reale: tra il 2000 e il 2009 oltre l’83% dei paesi ha registrato un aumento della percentuale di profitti in termini di PIL, ma questi profitti sono stati utilizzati perlopiù per pagare dividendi anziché essere investiti. Non è neanche dimostrato che la moderazione salariale abbia rafforzato l’occupazione.

Infatti, la moderazione salariale ha contribuito ad aggravare gli squilibri globali che, associati alle disfunzioni del sistema finanziario, hanno portato alla crisi e al suo protrarsi. Nelle economie avanzate, la stagnazione dei redditi da lavoro ha spinto ad alimentare la crescita con l’indebitamento delle famiglie, il che è chiaramente insostenibile. E nelle economie emergenti, la moderazione salariale è stata parte integrante di strategie di crescita basate sulle esportazioni verso le economie avanzate, il che è altrettanto insostenibile.

Il Rapporto sul mondo del lavoro 2011 raccomanda una maggiore connessione tra salari e produttività?

Raymond Torres: Garantendo una più stretta connessione tra salari e produttività, verrebbe affrontata la scarsità di domanda globale. Inoltre, una politica economica più bilanciata contribuirebbe ad allentare la pressione che pesa sui governi già alle prese con i tagli di bilancio. In molti paesi, i livelli di redditività sono tali che un aumento dei salari in linea con la produttività andrebbe a sostegno degli investimenti.

“Sono innanzitutto i governi ad avere la responsabilità di far sì che i mercati siano al servizio dell’occupazione”

Raymond Torres: Ovviamente le politiche devono essere adattate ai contesti nazionali e questo può essere raggiunto attraverso il dialogo sociale, strumenti sul salario minimo ben congegnati e la contrattazione collettiva, e un impegno maggiore nel promuovere le norme fondamentali del lavoro. Partendo da questo, i paesi con saldo economico positivo, come la Cina, la Germania, il Giappone e la Federazione russa, sono in posizione di forte vantaggio, di conseguenza hanno più spazio per politiche di questo tipo rispetto ad altri paesi. Politiche più bilanciate dei redditi in questi paesi andrebbero a vantaggio dei paesi stessi sostenendo, al contempo, anche la ripresa nei paesi in deficit, in particolare in quelli dell’eurozona che non possono confidare sulla svalutazione monetaria per recuperare la perdita di competitività.

Secondo il rapporto le piccole aziende rappresentano il perno della ripresa?

Raymond Torres: Finché non si ridarà accesso al credito alle piccole aziende, non può esserci una ripresa dell’occupazione. Nell’Unione Europea, la percentuale netta delle banche che hanno riferito una restrizione degli standard sui prestiti è rimasta positiva per tutto il 2011. Quando è stato chiesto alle aziende dell’UE quale sia stato il problema più pressante tra settembre 2010 e febbraio 2011, un quinto delle piccole aziende ha risposto la mancanza di accesso ai finanziamenti.

Forme di sostegno potrebbero essere quelle del credito garantito, la creazione di mediatori che prendono in esame le richieste di credito respinte alle piccole aziende, l’approvvigionamento diretto in contanti delle banche per finanziare le attività delle piccole imprese. Questi strumenti esistono già in paesi come il Brasile e la Germania. Nei paesi in via di sviluppo, c’è abbastanza spazio per aumentare gli investimenti nelle aree rurali e agricole. Tutto ciò richiede investimenti pubblici mirati ma anche mettere un freno alle speculazioni finanziarie sui prodotti alimentari al fine di ridurre la volatilità dei prezzi.

Fra le grandi economie avanzate, solo gli Stati Uniti hanno annunciato l’adozione di un piano globale sull’occupazione. Qual’è il ruolo dei programmi pubblici sul lavoro?

Raymond Torres: I paesi dovrebbero mantenere e, in alcuni casi, rafforzare i programmi a favore dell’occupazione finanziati su una ampia base imponibile. Naturalmente, nessun paese può svilupparsi con un incremento del debito pubblico e del deficit. Tuttavia, gli sforzi per ridurre i debiti pubblici e i deficit hanno colpito in maniera sproporzionata e controproducente i mercati del lavoro e la protezione sociale. Di fatto, i tagli in questi settori devono essere attentamente valutati in termini di conseguenze dirette e indirette. Per esempio, tagli ai programmi di sostegno al reddito possono, nel breve periodo, portare ad un risparmio ma possono anche far crescere la povertà e ridurre i consumi con conseguenze durature sul potenziale di crescita e sul benessere degli individui.

Politiche dell’occupazione incentrate su misure economicamente sostenibili contribuiscono ad evitare un’ulteriore deterioramento dell’occupazione. Se sono stati ben congegnati, i programmi a favore dell’occupazione possono sostenere la domanda, promuovendo, al tempo stesso, un ritorno più rapido dei mercati del lavoro alle condizioni pre-crisi. Misure di sostegno tempestive in tempi di crisi si traducono in riduzione del rischio di esclusione del mercato del lavoro e in guadagni di produttività. Questi programmi non sono dispendiosi per l’erario pubblico. Tuttavia, se necessario, nuove risorse possono essere trovate per sostenere le spese più necessarie. In particolare, il rapporto evidenzia l’esistenza di un ampio margine per ampliare la base imponibile, ad esempio le imposte sulle proprietà e su alcune transazioni finanziarie.

Un approccio di questo tipo risponderebbe anche al crescente malcontento sociale in tutto il mondo?

Raymond Torres: Nel momento in cui non si vede la ripresa, il malcontento sociale cresce. Secondo uno studio realizzato per il rapporto, nel 40 per cento dei 119 paesi per i quali esistevano dati, il rischio di tensioni sociali è aumentato in modo significativo dal 2010. Il rapporto evidenzia come l’evoluzione del malcontento sociale è associato sia all’evoluzione dell’occupazione sia alla percezione per cui il peso della crisi non è distribuito equamente. I programmi per l’occupazione devono migliorare l’efficienza economica e favorire una condivisione più equa del peso della crisi, contribuendo in questo modo ad attenuare le tensioni sociali. La natura eterogenea della ripresa rende necessario, tuttavia, di adattare un simile approccio alle caratteristiche di ciascun paese.

Gli indicatori più recenti segnalano l’inizio di un rallentamento dell’occupazione. Come possiamo rimettere la questione del lavoro al primo posto dell’agenda globale?

Raymond Torres: La responsabilità di far sì che i mercati siano al servizio dell’occupazione ce l’hanno i governi che dispongono di una serie di misure ispirate al Patto globale per l’occupazione dell’ILO tra cui: programmi di protezione sociale attenti alla creazione di occupazione, politiche ben congegnate sui salari minimi e sulla creazione di posti di lavoro, dialogo sociale produttivo. Queste misure possono essere rapidamente associate con scenari macroeconomici e finanziari favorevoli all’occupazione. Da questo punto di vista, è particolarmente importante muoversi velocemente nell’eurozona, dove i segnali di un indebolimento economico sono molto forti.

Tuttavia, anche il coordinamento delle politiche a livello internazionale ha un ruolo chiave. Questo compito è diventato particolarmente impegnativo date le differenti posizioni cicliche dei paesi. Secondo il rapporto, la recessione del lavoro in una regione avrà delle ripercussioni, prima o dopo, sulle prospettive socio-economiche in altre regioni. Viceversa, l’interconnessione delle economie vuol dire che, se i paesi agiranno in maniera coordinata, gli effetti positivi sull’occupazione si amplificheranno. A questo proposito, il G20 ha un ruolo leader particolare nel mantenere la questione dell’occupazione, insieme alle questioni fiscali e finanziarie, al primo posto dell’agenda politica. Anche in questo caso, il tempo è tiranno.