Il troppo lavoro aumenta i rischi di disabilità e di mortalità causate da malattie cardiovascolari

Le nuove stime dell’Organizzazione internazionale del lavoro e dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) evidenziano che lavorare più di 55 ore a settimana incrementa il rischio di malattie cardiovascolari e di ictus.

Comunicato stampa | 27 maggio 2021
ROMA (notizie OIL) — Lavorare più di 55 ore alla settimana aumenta il rischio di cardiopatia ischemica e ictus rispetto a chi lavora in media 40 ore a settimana. Questo è uno dei messaggi principali che emerge dal rapporto globale che analizza le stime dell’OIL e dell’OMS sull’impatto delle ore di lavoro sulla salute dei lavoratori. Lo studio si basa su circa 4.000 fonti e riguarda 194 paesi. I dati sono disaggregati per sesso, età e regioni del mondo, e coprono i periodi 2000, 2010 e 2016.


Lo studio sull’impatto dell’orario di lavoro prolungato sulle malattie cardiovascolari e l’ictus è parte del lavoro congiunto dell’OIL e dell’OMS che è iniziato nel 2016 e che include lo sviluppo di metodologie e protocolli per valutare l’esposizione a fattori di rischio professionali legati all’osteoartrite dell’anca o del ginocchio e altre malattie muscoloscheletriche; l’effetto delle radiazioni solari ultraviolette sulla cataratta e sul cancro della pelle; l’impatto del rumore nei luoghi di lavoro sulle malattie cardiovascolari; e l’effetto di orari di lavoro prolungati sulla depressione e sul consumo di alcol.

Le nuove stime evidenziano che il numero di persone il cui lavoro è stato svolto con orari prolungati (pari o superiore a 55 ore a settimana) è aumentato nel tempo, fino a interessare 488 milioni di lavoratori nel mondo nel 2016.

Sempre nel 2016, l’orario di lavoro prolungato è stato la causa di circa 745.000 morti dovute a cardiopatie e ictus: un aumento del 29 per cento rispetto al 2000. Nello specifico, le morti causate da malattie cardiache dovute a orari di lavoro prolungati sono aumentate del 42 per cento e quelle per ictus del 19 per cento.

Ad essere maggiormente colpiti sono gli uomini che rappresentano il 72 per cento dei decessi, le persone che vivono nella regione del Pacifico occidentale e nel sud-est asiatico, e i lavoratori di mezza età o più anziani. La maggior parte dei decessi registrati riguardava persone di età compresa tra i 60 e i 79 anni che avevano lavorato almeno 55 ore a settimana quando avevano un’età di 45 anni o più.

Solo nel 2016, i lavoratori che nel mondo hanno acquisito un’invalidità o disabilità a causa di malattie cardiovascolari di origine professionale erano 23,3 milioni.

Il numero di persone soggette ad orari di lavoro prolungati, sottolineano l’OIL e l’OMS, è in aumento e rappresenta attualmente il 9 per cento (o 488 milioni di lavoratori) del totale della popolazione mondiale o il 15 per cento del totale dei 3,3 miliardi di lavoratori nel mondo: quest’incremento espone ancora più persone al rischio di disabilità permanente o di decesso prematuro legato al lavoro.

L’esposizione a orari di lavoro prolungati aumenta in situazioni di emergenza o recessione economica. Nonostante le stime si riferiscano a un periodo antecedente alla crisi causata dal COVID-19, l’incremento delle ore di lavoro dei lavoratori in prima linea durante la pandemia, quello dovuto al lavoro da remoto e alla maggiore insicurezza sul lavoro potrebbe causare un aumento dei rischi sulla salute causati da orari di lavoro prolungati.

Uno studio condotto in 15 paesi dal National Bureau of Economic Research degli Stati Uniti ha mostrato che durante la pandemia del COVID-19 il numero di ore di lavoro è aumentato di circa il 10 per cento a causa del lavoro da remoto che rende più difficile la demarcazione tra i tempi di lavoro e quelli dedicati alla vita privata e al riposo. Inoltre, dopo il primo periodo di confinamento si sono verificati dei casi di regioni o paesi che hanno congelato l’applicazione della legislazione sociale in materia di orari di lavoro chiedendo di lavorare di più per ammortizzare il ritardo dovuto all’interruzione delle attività produttive. Lo stesso è avvenuto per molte lavoratrici e lavoratori che sono occupati nelle filiere globali di fornitura come, ad esempio, nel settore del tessile.

“È paradossale che ci siano quasi 500 milioni di persone nel mondo che hanno degli orari di lavoro talmente estenuanti da compromettere la loro salute e che, allo stesso tempo, oltre 600 milioni di lavoratori non riescano a trovare un lavoro a tempo pieno e siano costretti a lavorare poche ore alla settimana” ha affermato il Direttore dell’Ufficio OIL per l’Italia e San Marino, Gianni Rosas, durante la trasmissione radiofonica promossa dall’Associazione Nazionale fra Lavoratori Mutilati e Invalidi del Lavoro (ANMIL) dal titolo Troppo lavoro fa male, più rischio di morte e malattie fortemente invalidanti. Uno studio OMS e ILO. “Da una nostra analisi dei microdati delle rilevazioni sulle forze lavoro risulta che anche in Italia il cinque per cento del complesso dei lavoratori lavora mediamente più di 55 ore a settimana. Allo stesso tempo, l’80 per cento dei giovani che lavora a tempo parziale in Italia ha questo tipo di contratto perché non riesce a trovare un lavoro a tempo pieno. È necessario ripensare alla pianificazione e distribuzione dei tempi di lavoro” ha aggiunto Rosas.

Il rapporto richiama l’impegno dei governi, in collaborazione con le parti sociali, a introdurre, attuare e far rispettare la legislazione e le politiche che definiscono i limiti massimi all’orario di lavoro e il ricorso al lavoro straordinario, i periodi di riposo giornalieri e settimanali, il congedo annuale retribuito, le tutele per il lavoro notturno e la parità di trattamento per i lavoratori part-time. In parallelo, i sistemi di relazioni industriali possono organizzare l’orario di lavoro in modo da evitare un impatto negativo di quest’ultimo sulla salute dei lavoratori. Questo richiede una collaborazione tra imprese e lavoratori nella definizione, per esempio, dei turni di lavoro, del lavoro notturno o di quello svolto durante il fine settimana, come pure delle disposizioni sull’orario flessibile.