Lavoro minorile

Proteggere i bambini dalla necessità di lavorare

Le misure di protezione sociale possono contribuire a ridurre l’incidenza del lavoro dei minori, afferma Constance Thomas, Direttrice del Programma internazionale per l’eliminazione del lavoro minorile (IPEC) dell’ILO.

Editoriale | 3 maggio 2013
Constance Thomas, Direttore IPEC - Programma internazionale dell’ILO per l’eliminazione del lavoro minorile
Sono circa 215 milioni i bambini e le bambine nel mondo che lavorano. Spesso svolgono lavori pericolosi e dannosi per la loro salute e per il loro futuro. I bambini, ovunque essi siano, hanno il diritto di vivere un’infanzia vera, di giocare, andare a scuola e sognare un futuro migliore.

Nonostante ciò, sradicare il lavoro minorile è una sfida difficile e complessa in quanto spesso sono proprio le famiglie a mandare i bambini a lavorare, e non perché lo vogliano ma perché non hanno alternativa. Senza il lavoro dei propri figli, queste famiglie non hanno un reddito sufficiente per pagare spese mediche o la scuola dei bambini.

Qualche volta beneficiano di programmi di protezione sociale che gli consentono di evitare la povertà assoluta, ma questi programmi raramente sono diretti alla riduzione del lavoro minorile. Per l’ILO quest’ultimo aspetto dovrebbe, al contrario, essere tenuto maggiormente in considerazione in quanto si è scoperto che i programmi di protezione sociale servono spesso alle famiglie per mantenere i propri figli a scuola e tenerli quindi fuori dal lavoro.

Aspetto, quest’ultimo, che emerge nel nuovo studio dell’ILO World Report on Child Labour: Economic vulnerability, social protection and the fight against child labour. Il rapporto fa un’analisi molto dettagliata delle valutazioni scientifiche dei programmi di protezione sociale in diversi paesi dal punto di vista del lavoro minorile.

Dati sul lavoro minorile
Dati del Rapporto Globale 2010, i nuovi dati sul lavoro minorile saranno pubblicati nel setttembre 2013.
  • 215 milioni i bambini che lavorano nel mondo.
  • 115 milioni coinvolti nelle peggiori forme di lavoro minorile, ovvero in pratiche assimilabili alla schiavitù, servitù per debiti, prostituzione, attività illecite o altri lavori dannosi per la salute, la sicurezza o la morale dei bambini.
  • 15,5 milioni svolgono lavoro domestico.
  • La maggior parte dei bambini (60%) lavora nel settore dell’agricoltura. Solo un bambino lavoratore su 5 viene pagato, per la maggior parte sono lavoratori familiari non remunerati.
I ricercatori dell’ILO hanno riscontrato una sensibile riduzione del lavoro minorile quando si adottano sistemi di trasferimento di denaro. Le famiglie ricevono una certa quantità di denaro contante ogni mese, alcune volte a condizione che i figli vadano a scuola. Un programma di questo tipo è la Bolsa Familia, adottato in Brasile, che ha contribuito alla riduzione del lavoro minorile nelle zone rurali e urbane.

Il rapporto ha inoltre evidenziato un forte legame tra problemi di salute e lavoro minorile. Quando un adulto, che è la principale fonte di reddito della famiglia, si trova nell’impossibilità di lavorare a causa di una malattia o di un incidente o quando una famiglia deve pagare le spese mediche della malattia di un familiare, in molti casi si è costretti a fare ricorso al lavoro dei bambini. In Togo e in Zambia, ad esempio c’è stata un’impennata del lavoro minorile proprio in questi casi. In Zambia, addirittura, l’incremento è stato del 9%. Si è inoltre registrato una diminuzione della frequenza scolastica, il che pregiudica le prospettive future dei bambini. 
Anche garantire la sicurezza del reddito ai più anziani, attraverso pensioni sufficienti e garantite, può avere un impatto positivo sui bambini che vivono in luoghi protetti multigenerazionali. Tra il 60 e il 50% degli orfani del Sudafrica, Botswana, Malawi, Namibia, Tanzania o Zimbabwe, vive con i nonni. Studi condotti in Sudafrica e in Brasile hanno dimostrato che le pensioni contribuiscono a ridurre il lavoro dei bambini e a migliorare il rendimento scolastico.

I programmi pubblici per l’occupazione che garantiscono un lavoro agli adulti hanno, anch’essi, un potenziale enorme per ridurre il lavoro minorile, questo è stato riscontrato in Etiopia e in India.

Visti i risultati dello studio dell’ILO, è chiaro che le misure di protezione sociale possono costituire una componente importante nella risposta globale al lavoro minorile, insieme all’istruzione, alle politiche di promozione dell’occupazione per gli adulti e al rafforzamento delle leggi. Queste misure possono realmente costituire l’ago della bilancia quando le famiglie si trovano di fronte alla scelta se mandare o meno i propri figli a scuola o al lavoro.  

Perchè siano il più efficaci possibile, i responsabili politici devono considerare come massimizzare l’impatto positivo sui bambini al momento dell’elaborazione dei programmi di protezione.

L’ILO ha recentemente approvato una Raccomandazione sulla Protezione sociale di base che promuove l’importanza di assicurare un livello base di sicurezza del reddito per tutta la vita nonchè l’accesso alle cure sanitarie essenziali. Attualmente, solo il 20% della popolazione mondiale in età da lavoro ha un accesso adeguato alla protezione sociale, per questo è fondamentale fare dei passi in avanti nell’estendere questi programmi a tutte le famiglie del mondo. In questo modo, molti più bambini saranno salvati dal circolo vizioso del lavoro minorile.

Come la protezione sociale può essere utilizzata al meglio per combattere il lavoro minorile sarà uno dei principali temi della Terza Conferenza globale sul lavoro minorile che si terrà ad ottobre in Brasile. Sono previsti oltre 1000 partecipanti che faranno il punto sui progressi raggiunti finora nel comune obiettivo di eliminare le peggiori forme di lavoro minorile entro il 2016.