Giornata internazionale del migrante. Invertire la fuga di cervelli in Cina : il ritorno delle « tartarughe di mare »

Mentre l’economia cinese continua a crescere in maniera esponenziale, il paese affronta una carenza di dirigenti formati con esperienza internazionale. Un numero sempre maggiore di cinesi emigrati all’estero per motivi di studio sta tornando nella terra delle opportunità, secondo un articolo recentemente pubblicato sull’International Labour Review dell’ILO [nota 1].

Articolo | 11 dicembre 2006

PECHINO (ILO Online) — La fuga di cervelli priva i paesi in via di sviluppo di preziosi talenti, infatti le persone più brillanti emigrano per studiare e decidono di stabilirsi nei paesi industrializzati. Per molti anni, la popolazione della Repubblica Popolare della Cina non ha fatto eccezione a questa regola.

Nonostante ciò, secondo l’articolo dell’ILO, negli ultimi anni decine di migliaia di persone formate all’estero stanno tornando in Cina. Quasi un quarto degli oltre 930 000 studenti emigrati per motivi di studio tra il 1978 ed il 2005 ha fatto ritorno. Ed il numero è in aumento: da circa 6 000 nel 1995 a quasi 35 000 nel 2005, secondo l’Annuario statistico della Cina del 2006.

Questa tendenza è talmente marcata che i cinesi hanno coniato un’espressione per definire i loro concittadini che ritornano in patria — hai ghi, o « tartarughe di mare » che, dopo essere cresciute a largo nel mare, ritornano sulle coste.

« La Cina sta vivendo una imponente migrazione di ritorno, come conseguenza della sua stabilità politica, migliori condizioni abitative, migliori opportunità lavorative, infrastrutture e metodologie di gestione più moderne, salari più alti e altri incentivi speciali », afferma David Zweig, Direttore del Centro sulle relazioni transnazionali della Cina presso l’Università di scienze e tecnologia di Hong Kong e autore dell’articolo pubblicato sulla rivista internazionale del lavoro.

Le politiche governative e la concorrenza tra le città per attrarre scienziati e accademici formati all’estero ha creato un ambiente positivo che incoraggia il ritorno, mentre la competizione tra università, laboratori di ricerca e imprese si traduce in ottimi incentivi.

Secondo l’articolo, le forze del mercato, sostenute da riforme nazionali del governo, sono i fattori più importanti per far si che le persone ritornate siano integrate nel settore privato. Grandi opportunità e vantaggi sono riservati per i lavoratori più qualificati o che utilizzavano tecnologie avanzate all’estero.

« Inoltre, la Cina ha creato un ambiente favorevole agli investimenti diretti all’estero che attrae molte società multinazionali, creando buone opportunità di lavoro per gli emigrati che desiderano tornare in patria. Per di più, le multinazionali che hanno al sede in Cina sono alla ricerca di emigrati all’estero per motivi di studio o lavoro », spiega Zweig.

« Tartarughe di mare » contro « Tartarughe di terra »

Ma le attività del governo volte a promuovere la migrazione di ritorno hanno creato alcuni problemi. Le politiche che agevolano chi ritorna causano ostilità tra la « fazione delle tartarughe di mare » e la « fazione delle tartarughe di terra » ovvero le persone che sono rimaste in patria. Interviste realizzate a scienziati cinesi tra il 2002 e il 2004 rilevano che il numero delle persone non soddisfatte dalla situazione abitativa era tre volte superiore tra la popolazione locale che tra i rientrati. Più del doppio dei locali rispetto ai rientrati pensava che le condizioni di alloggio per i secondi venivano risolte con maggior rapidità.

« Molti hai ghi sono tornati con l’idea che un MBA (Master in gestione d’impresa) ottenuto all’estero li avrebbe agevolati maggiormente rispetto a coloro che invece si sono formati nel paese. Hanno investito maggior tempo e risorse e sperano pertanto di ricevere remunerazioni più elevate e promozioni più rapide », spiega A. J. Hu, socio del JLJ Group, Solutions for China Entry and Growth, con base a Shanghai.

Tuttavia, nella realtà una persona con un MBA e con esperienza professionale può ottenere, negli Stati Uniti, un contratto di 100 000 dollari l’anno (800 000 yuan), mentre in Cina la stessa persona dovrà accontentarsi di un contratto di 300 000 yuan (36 500 dollari).

Un altro ostacolo per quelli che ritornano è il giudizio dei loro compagni cinesi. I dirigenti cinesi che hanno fatto carriera senza dover andare all’estero potrebbero non apprezzare gli hai ghi che invece si sono formati all’estero ma hanno poca esperienza del mercato locale. Il risultato è che molti giovani che ritornano provano ad aprire una loro impresa.

Le imprese spesso si aspettano che i propri dipendenti siano autonomi dal punto di vista lavorativo sin dal primo giorno. Questo è molto difficile per delle persone appena tornate che non conoscono né il mercato né hanno un supporto locale dopo anni passati lontano dalla Cina. Nel 2003, erano 7 000 i cinesi ritornati a Shanghai che hanno passato molto tempo alla ricerca di un lavoro tanto da essere chiamati hai dai — espressione che può essere tradotta come « coloro che sono tornati e sono alla ricerca di un lavoro » o « alga marina che galleggia senza produrre nulla ».

Tuttavia, la Cina ha bisogno di bravi hai ghi che rientrino, che mettano le radici e che contribuiscano alla crescita dell’economia. Secondo alcune stime, la Cina ha bisogno di almeno 2-3 milioni di hai ghi nel corso dei prossimi 5 anni. Apparentemente, per il momento, solamente qualche centinaia di migliaia di espatriati sarebbero disposti a rientrare nel paese.

« La Cina ha bisogno di creare una strategia vincente su questa questione. Pertanto, gli sforzi del governo e i nuovi programmi di finanziamento si sono ben integrati con l’interesse crescente di molte persone a tornare in Cina. Il risultato — una « fuga di cervelli al contrario » — potrebbe cambiare le sorti della comunità scientifica, accademica e imprenditoriale della Cina nella prossima decade », conclude David Zweig.

[nota 1] David Zweig, Competing for talent: China’s strategies to reverse the brain drain, in International Labour Review, special issue: migration, vol. 145/1-2, ILO, Ginevra, 2006.